I Mau Mau del Kenya chiedono i danni agli inglesi per la tortura subita negli anni coloniali

Dei veterani Mau Mau del Kenya che hanno lottato per l’indipendenza stanno citando il governo britannico per presunte violazioni dei diritti umani commesse dal colonialismo britannico nel sedare la rivolta negli anni ’50.

Cinque di loro non sono a Londra per l’inizio della loro lotta per la giustizia.

L’inviata di Al Jazeera , Tania Page, parla con due veterani Mau Mau a Londra, la capitale britannica.


Uno degli episodi più malfamati della storia coloniale britannica in Kenya riguarda proprio il trattamento dei prigionieri Mau Mau. Torture, incarcerazioni abusive anche di Kikuyu estranei al movimento armato sono denunciate più tardi anche dalla stampa britannica.
Per giustificare l’efferatezza britannica si costruisce un’immagine distorta dei guerriglieri Mau Mau: si assicura che sono dei pazzi criminali che uccidono indiscriminatamente donne e bambini, che sono degli invasati e finanche cannibali. La maggior parte dei giornali britannici diffondono notizie allarmanti riguardo all’efferatezza dei guerriglieri kikuyu: si scrive che la popolazione bianca e i kenioti lealisti sono massacrati dalla bestialità dei Mau Mau. In realtà solo trentadue bianchi sono direttamente le vittime del movimento armato durante gli otto anni di emergenza. Insomma, l’immagine della lotta ai ribelli Mau Mau è dipinta come una lotta della civiltà contro la barbarie più efferata. Il desiderio di potenza e il razzismo bianco si radicalizza trasformandosi in una “supremazia eliminatoria”. Il terrore Mau Mau diventa direttamente proporzionale alla violenza britannica in Kenya.
Tra le successive misure del governo coloniale prese contro il dilagare della ribellione Mau Mau, oltre all’istituzione di campi di concentramento e di villaggi protetti con tanto di filo spinato, si ricorda il reclutamento di oltre ventimila “Home Guard” keniote, ovvero una sorta di Guardia Nazionale reclutata principalmente dall’etnia kikuyu. Quest’ultima mossa porta il Paese sull’orlo della guerra civile, dividendo la tribù e creando al suo interno fortissimi contrasti che agevolano enormemente il compito di repressione svolto dalle autorità coloniale britanniche.
La deportazione è la prima regola per sopravvivere in Kenya. La decisione di deportare la popolazione civile kikuyu in villaggi protetti è ispirata direttamente dalla politica adottata dal generale Templer per stroncare la guerriglia in Malesia durante l’insurrezione locale verificatasi a partire dagli anni Quaranta del Novecento.
La più vasta operazione di internamento si verifica il 24 aprile 1954, quando l’esercito britannico, coadiuvato dalla Home Guard, ripulisce Nairobi e i suoi sobborghi da tutti i kikuyu. Nell’operazione militare, chiamata “Anvil” quarantamila uomini e ventimila donne e bambini sono strappati dalle loro misere case e condotti con la forza prima in campi temporanei, poi nei vari tipi di campi di detenzione o nelle riserve protette. Tutti i campi, secondo le dichiarazioni ufficiali dell’autorità coloniale britannica, hanno la funzione dichiarata della riabilitazione.


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